In pizza we trust.
È proprio il caso di dirlo, questo motto rispecchia noi italiani in particolar modo. Non solo nei nostri gusti gastronomici. Ma anche per come il mondo ci vede da fuori. Quando uno straniero sa che sei italiano come ti beffeggia? Pizza, pasta, mandolino. (forse c’era anche un’altra parola poco edificante, ma la eliminiamo). Quando un americano scopre che sei Napoletano (soprattutto) come cerca di irritarti al meglio? parlandoti della pizza con l’ananas o qualche altra diavoleria estera, che sventra il nostro patrimonio culinario e il nostro orgoglio.
Ci sentiamo la patria della pizza. Della margherita. Della semplicità. Della genuinità.
Siamo il paese dove la pizza la fanno le famiglie in casa, la propone il bar all’angolo, la prepara tutte le sere il ristorante trattoria, la mette in menù lo chef stellato (Cracco docet) e la fanno, negli ultimi anni, anche i pizzaioli gourmet.
Abbiamo assistito a una prolificazione di pizzerie eleganti. Costose. Vistose. A volte anche un po’ fuori misura. Ci sono i locali storici, quelli dove la pizza non delude mai e che ognuno di noi conosce “da quando ci andava coi nonni la domenica”. Ci sono poi gli scontri regionalisti, quelli che “la vera pizza è solo quella napoletana”.
Ma ci sono anche persone che pensano che la “vera pizza” non esista. Esiste la pizza buona e quella cattiva. E chi la sa fare la esporta dalla sua città natale in tutte le regioni, portandosi dietro la propria ricetta e i propri ingredienti. le proprie tradizioni. Perchè la pizza non è un partito preso. È amore. È la partita dell’Italia vista sul divano con gli amici. È la festa di fine anno nel locale chiassoso con tutti i compagni di classe. È la famiglia che si riunisce a fine giornata. È un appuntamento romantico che finirà in un cinema con un timido bacio. È un morso per strada dato di fretta, tra un appuntamento e l’altro. Perchè la pizza, semplicemente, è un sapore che ci portiamo dentro fin da bambini. è calore e conforto. è condivisione.
In mezzo a questo caos di acqua, olio e farina spicca un nome nella Capitale che rende questo amore ogni giorno più forte. Un assopigliatutto che non lascia scampo ai concorrenti. Che non lascia, soprattutto, spazio alle critiche.
La sua pizza è buona. I suoi ingredienti eccezionali. La sua creatività indiscussa. La sua professionalità a portata di mano.
Parliamo di Pierdaniele Seu e della sua pizza speciale. Quella che si può assaggiare al mercato centrale di Termini. Ma soprattutto quella del suo ristorante di trastevere, Seu illuminati.
È qui che campeggia la scritta con cui abbiamo iniziato questo articolo. In pizza we trust. Noi ci crediamo, si. La veneriamo, come fosse una religione. Ma lui la crea, come un artigiano sapiente. Un maniscalco del gusto.
Una volta provata la sua, difficilmente riuscirete ad accontentarvi di nuovo. A mangiare qualsiasi altra pizza (rinomata o meno) di Roma.
Il locale è carino, ben arredato. Niente di squallido o triste o caotico. Design pulito e piacevole. Zona trastevere ma in un punto poco trafficato e con molto parcheggio. I ragazzi che lavorano sono tutti gentilissimi, sorridenti, preparati e veloci. Gestiscono ogni sera un numero di clienti impressionante. Senza perdere un colpo.
Valeria, la moglie di Pierdaniele, è una padrona di casa perfetta. Un sorriso contagioso e una gentilezza fuori dal comune. Non ti lascia mai andar via senza chiedere se è andato tutto bene. Se fosse tutto di tuo gradimento e se il servizio sia stato all’altezza. Anche se supervisiona la sala tutta la sera, lei non perde occasione di sapere da te direttamente se fosse tutto ok. Perché è evidente che ci tiene. Che le interessa che tu sia stato trattato al meglio possibile.
Questa cura. Questo amore, che lei e suo marito trasmettono agli avventori, rendono la pizza da Seu un rito speciale. Che non si limita al “riempirsi lo stomaco”. Ma che diventa un appuntamento settimanale per sentirsi felici. Per sentirsi appagati nel corpo e nello spirito.
Bellissimo vedere persone giovani e competenti avere successo e un locale sempre pieno. Osservare come ragazzi riescano a prendere un alimento semplice e superinflazionato e sbancare in questa maniera. Perché sanno quello che fanno. Lo sanno fare bene. E questo crea unicità e impareggiabilità sul mercato.
Fatte queste premesse di carattere umano… passiamo al menù. È tutto eccezionale. I vini all’altezza, così come le birre. I fritti sono stratosferici. Croccanti, succulenti, mai unti. Uno dei supplì più buoni della capitale lo trovate proprio qui. I dolci sono un ottimo fine pasto. Pane (di Bonci) e olio, un ottimo richiamo alle origini e un buon inizio cena. Perché quando le materie prime sono eccellenti, beh, pane e olio diventa un momento unico.
Ma arriviamo al dunque. La pizza. Com’è quella di Seu? Perché tutto questo rumore per una “semplice” pizza?
Alcuni sono stati in grado di massacrarla. Evidentemente affetti da qualche deficit del gusto. Perché l’impasto è leggerissimo. Non risulta mai pesante o indigesto. Il cornicione alto e soffice. Mai gommoso o bruciacchiato.
Le pizze più tradizionali, come la margherita o la broccoli e salsiccia, pur essendo semplici nella composizione non sono mai inclini alla banalità. I condimenti hanno una qualità altissima e questo rende speciale, si, anche una “semplice” marinara. Perché in cucina semplice non va mai a braccetto con facile. È nel minimalismo che si vede l’estro.
Le pizze più particolari, invece, ruotano in maniera stagionale. Questo per rispettare e inseguire i prodotti più freschi e gli ingredienti più adatti al clima.
Io le ho assaggiate quasi tutte. Dall’assoluta di pomodoro estiva alla gateau di patate invernale. L’unico modo per conoscere Seu e il suo stile è provare i suoi accostamenti. Farsi trascinare nella sua visione della pizza, che in queste sue interpretazioni diventa piatto completo. Provare a sentire tutta l’armonia che i sapori, uniti in quel modo, possono sprigionare.
I prezzi sono assolutamente ragionevoli. Siamo a Roma. Siamo a Trastevere. Stiamo mangiando una pizza di altissima qualità. Non uscirete certo pagando 10 euro a testa, ma nemmeno strappandovi i capelli dall’indignazione. Con dolci, fritti, pizze e bevande alcoliche non mi è mai capitato di spendere più di 30/35 euro a persona.
Andate, provate e credeteci. Nella pizza e nella sua magia.
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