Roma che Amo – Francesca Palazzetti aka Mammafrau

Francesca Palazzetti, meglio conosciuta su Instagram come Mammafrau, è una Doula, Una professione di nuova concezione dedicata alla cura e al supporto dell’altro in un momento delicato come quello della gravidanza, del puerperio e della maternità.

La seguo da tempo, affascinata dal suo modo di comunicare calmo, intelligente e proattivo in difesa dei diritti e della tutela di genitori e minori. Ho quindi deciso di intervistarla per la rubrica Roma che Amo per raccontarci di lei, del suo lavoro e del filo invisibile che la lega a Roma come donna, come madre e come professionista.

Ciao Francesca! Innanzitutto grazie di aver accettato di partecipare alla mia rubrica. Inizia raccontandoci un po’ di te.

Sono una che ha nomi strani e che per capire cosa fa bisogna starci su un attimo.

Sono nata e vivo a Roma, ho studiato comunicazione e cooperazione e stavo per partire ma poi sono rimasta, insieme al consorte e poi a tre figli.

Sono una doula, che è una professione d’aiuto in cerca di ordinamento: il mio lavoro si rivolge a donne e famiglie di solito intorno all’ arrivo di un figlio, con i vari spostamenti di equilibri, priorità e bisogni che vi si affacciano. Spostamenti che attraversare sapendo di non essere sole a cercare informazioni magari mai sentite prima, a farsi un’idea sulla rete di supporto per orientarsi nelle scelte, non essere giudicate ma ascoltate per come la stanno vivendo e avere anche aiuto pratico come due braccia in più, un pranzo buono e una persona che ti ricorda che anche in una fase tanto assorbente i tuoi bisogni sono importanti, può aiutare a migliorare quell’esperienza.

Cosa ti ha spinta a iniziare il tuo lavoro come doula?

Si sono unite varie parti di me.

Sono da sempre una persona che raccoglie contatti e informazioni, con una buona comunicazione empatica, sono una un po’ “superquark” con molto a cuore la comprensione delle cose e sono brava a calmare le persone.

Con il primo figlio ho avuto un po’ di difficoltà di avvio dell’allattamento, gestita e risolta con l’aiuto della mia ostetrica, ed ero stata la prima nel gruppo a partorire.

Si è creato un giro di passaparola per cui più persone mi chiamavano per chiedermi “consigli”.

Ma i consigli sono un casino, soprattutto in tema di salute nessuno dovrebbe dispensarli e, spoiler, nessuno ne ha bisogno.

Serve fare chiarezza per capire di cosa hai bisogno in quel momento e col tuo setting.

Servono informazioni da fonti sicure e serve conoscere a chi puoi rivolgerti per quella specifica esigenza.

Le mie ragadi, sui miei capezzoli, col mio bambino, sul mio divano nella mia casa, con i miei ritmi, il mio modo di mangiare, i miei parenti, la mia storia personale, le mie aspettative, le mie proiezioni, la mia ostetrica, il mio parto, il mio vissuto, mille altre cose solo mie, renderanno tutto diverso da ogni cosa solo tua, quindi ha senso stare su di te, non dirti “fai cosi”, che di solito è il consiglio medio, anche se dato da chi ha ottime intenzioni.

Due anni dopo ho scoperto la figura della doula e che per la prima volta a Roma sarebbe partito un percorso di formazione. Da quella classe sono nate le basi su cui abbiamo poi fondato la nostra associazione Mammadoula, di cui oggi sono presidente.

Cosa fai, tu, come doula quando entri nella casa e nella vita di una mamma?

Il mio lavoro è fatto di saper osservare, cogliere, accogliere, e stare accanto.

Se il mio intento è supportare quella persona, o quella famiglia, devo sapermi settare su di loro, senza invadere, senza ingombrare, senza condizionare. Vuol dire che in quel momento non sarò l’“esperta” che viene a dirti “come si fa” perché “è tanto brava”. Ma cercherò di capire, intanto come stai, come ti senti, come sta andando, di cosa avresti bisogno, come possiamo attivare una serie di strategie e risorse per rispondere a quei bisogni, dopo la nascita ma vale anche prima.

Il mio obiettivo è che il tempo insieme offra lo spazio per fare sedimentare tutti gli input che di solito turbinano in un momento trasformativo come quello che può essere quello (anche solo l’idea) della genitorialità, e restituire la sicurezza nella propria competenza di informarsi, scegliere, organizzarsi, emozionarsi.

E magari anche sollevarsi da qualche incombenza che può essere delegata, per essere più centrate sul momento che si sta vivendo e percepirsi attive in quella fase, senza avere la sensazione di subirla.

Sei di Roma, lavori su Roma. Possiamo dire che la nostra città non sia esattamente a misura di mamma e bambino? Una mamma “di Roma” ne risentirà di più secondo te in termini di distanze (banalmente con asili, lavoro, presidi medici, parenti)?

Roma è meravigliosa e insieme tragica, possiamo dirlo.

Le distanze spesso non sono necessariamente enormi ma facilmente possono esserlo gli ostacoli lungo il percorso, assortiti a seconda del mezzo che usi: a piedi troverai marciapiedi dissestati e automobili parcheggiate sulle strisce e sulle rampe, in auto il traffico e il parcheggio, i mezzi pubblici non puoi saperlo, a volte ci sono altre semplicemente no.

Le strutture dei servizi non sempre sono distribuite in modo omogeneo, anche se va detto che spesso tante persone non sono informate delle risorse che hanno vicino.

Nel mio lavoro cerco di aiutare anche in questo, perché conoscere il territorio vuol dire avere più opzioni per contrastare l’isolamento, che per i neogenitori e in particolare le neomamme è un grosso problema, nonché un fattore di rischio per la depressione post partum.

Quanto può essere utile il lavoro che fai, a livello assistenzialistico, in una città così grande che può far sentire persa una mamma o dei neogenitori?

Io sono una risorsa privata, una libera professionista e lavoro interfacciandomi direttamente con le persone che cercano i miei servizi.

Questo significa che di fatto, il supporto che offro, è un privilegio, ma non dovrebbe essere così.

I vuoti di assistenza del nostro sistema sanitario e sociale non sono facili da cogliere prima, ma li vedi durante e dopo, quando le mie clienti dicono “nessuno me lo aveva detto” e “non ne avevo idea”, e quando si scontrano con un mondo che non ha le misure per chi sta realizzando quelle idee. 

Abbiamo un problema che è anche culturale, perché da un lato ce la devi fare, dall’altro ti chiedono se non hai nessuno che ti aiuti, quel qualcuno spesso sarebbero i nonni, sempre che ci siano, e diciamo: dipende pure da che persone sono, che legami affettivi ed economici intrattengano con i genitori.

Nella terra della scarsa educazione emotiva che abitiamo spesso questo comporta pasticci che hanno effetto sulle relazioni, sull’educazione dei bambini, sulle dinamiche di salute di tutti, che con un sistema efficiente di servizi centrati sulla persona si potrebbero ampiamente prevenire.

A proposito di città, quali sono i tuoi luoghi del cuore a Roma? Dove ti rifugi per ricaricare le batterie?

Nel mio cuore ci sono dei percorsi, dei tratti a piedi, ma anche degli scenari, le cartoline nello sguardo.

Sono nata a Monteverde dal quale arrivi facilmente a Trastevere, a largo Argentina, al Gianicolo, sotto ad Anita Garibaldi o passi per il Fontanone. Scalinate piene di ricordi ti portano in centro. Ma ho cuori anche sul mare di Ostia e nelle rovine del Parco degli Acquedotti da tutt’altra parte della città, nelle linee autobus di casa, come il 44 e il 75. Gli autobus possono essere dei portali dimensionali, quando i bambini erano piccoli li portavo anche solo a guardare dal finestrino.

Non sei solo una doula ma anche una mamma, dove porti i tuoi figli a Roma?

Quali sono i posti a misura di famiglia o della tua famiglia?

Sicuramente Villa Pamphili e Villa Sciarra, che abbiamo la fortuna di avere vicine, sono luoghi familiari e di ricarica a portata di mano.

Non sono un genitore che riesce a organizzare un’agenda ricreativa come un tempo credevo fosse necessario, da quando ho capito felicemente che non lo è.

Gli incastri degli impegni in 5 non sono facili quindi quando si crea l’occasione la best combo è visitare qualcosa, un luogo o una mostra, passeggiare nei dintorni, mangiare insieme.

L’ultima volta è stato alla Birreria Peroni, dove andavamo anche prima di loro, e infatti puntualmente sono occasioni di grandi racconti. I posti a misura di famiglia non li ho ancora così chiari, perché a parte Explora (il museo dei bambini) che vince su tutti, il nostro non è proprio un mondo baby-anzi- famiglia-friendly. E su questo ci sarebbe da aprire un capitolo però, di ragionamenti sulle aspettative e la realtà di tutte le parti.

Parlando di cucina, quali sono i tuoi ristoranti preferiti della città? Quello o quelli dove vai ad occhi chiusi, che sanno di casa e di ricordi?

Ad occhi chiusi, e con ricordi belli: vicino casa, l’Osteria Palmira,  il Clivo Bistrot, ed il Mezè Bistrot. A Trastevere Cambio, in centro L’Old Bear, a San Giovanni Bombay per la cucina indiana, a Ostiense il Sushi di Sushisen, il Ramen di Ramen Bar Akira, il Lamian Bar per quella cinese. A Ostia il Molo Diciassette e La Buzzicona…già solo a scriverli sono felice.

Cosa consiglieresti a una futura mamma di Roma?

Di studiare un po’ il territorio che ha attorno.

Di non esitare a chiedere, di prendere contatti, di informarsi, di trovare qual è il consultorio di zona e che tipo di attività e iniziative proponga, se ci sono associazioni di ostetriche nei paraggi o luoghi dove si crei aggregazione con persone che hanno esigenze simili. Questa è anche una ragione per la quale è utile frequentare i percorsi di accompagnamento alla nascita.

Le consiglierei di scegliere le proprie persone, anche professionisti, che non la riempiano di raccomandazioni e di consigli ma con le quali si possa sentire libera di portare se stessa e non essere giudicata. Con le quali si senta ascoltata e che abbiano modo di spiegarle le cose in modo che lei le comprenda, perché niente “è così” senza un perché.

Di tenere presente che ogni occasione in cui si parli del “dopo” e anche degli imprevisti è preziosa, perché nel prima se ne parla ancora troppo poco.

Di non pensare mai che ciò che le accade e che può essere difficile per qualche motivo, stia accadendo solo a lei, magari perché sta sbagliando qualcosa. Non si può sbagliare qualcosa per cui non esiste il “giusto”. La cosa giusta è quella che funziona per te.

Cosa consiglieresti, invece, a qualcuno che vorrebbe formarsi nel tuo percorso e intraprendere la tua carriera?

Il fatto che la doula rientri tra le professioni non ordinistiche fa sì che non ci sia un percorso unico e codificato per diventarlo.

Anche in Mammadoula dopo varie richieste abbiamo riaperto il percorso di formazione, un lavoro enorme per noi ma a al quale cerchiamo di dare la massima attenzione aprendo una sola classe l’anno, per potere conoscere e seguire le persone che si formano anche dopo il percorso.

Ci tengo tantissimo a dire che un percorso di formazione come doula non necessariamente si trasformerà in un lavoro come doula: si lavora sulla comunicazione, sull’ascolto, sull’accoglienza, l’apertura e il non giudizio. Si acquisiscono informazioni e coordinate, per perfezionare le proprie conoscenze e muoversi anche lavorativamente, ma tutto questo si combina con le variabili della storia e delle risonanze ed esperienze personali. Magari anche dell’integrazione con altre competenze, quindi è importante comunicare correttamente che un percorso di formazione come doula non ti renderà automaticamente una doula che lavora.

Il territorio così come il tessuto sociale nel nostro paese sono eterogenei, il nostro lavoro non sempre è chiaro all’utenza e abbiamo ancora diversi tabù sul chiedere aiuto e dare valore, anche economico, a una persona dedicata a supportarci.

Tutto questo significa un grande lavoro da affrontare in termini di rete, comunicazione, e anche frustrazione, ed è un lavoro ad altissimo impatto emotivo che secondo me è importante affiancare a un supporto psicologico.

Proprio perché per poter prendersi cura, bisogna anche riceverne.

Si dice che per crescere un bambino serva un villaggio, concetto che estendo a crescere una famiglia in generale. Che contempli, o meno, la presenza di figli.

Non esiste posto più lontano dall’idea di villaggio di Roma, una città grande, mastodontica, che fagocita i suoi abitanti in un ambiente caotico dove anche il più piccolo spostamento diventa complesso. Dove servirebbe davvero un punto dove trovare assistenza, conforto, aiuto e supporto su tutti i settori che riguardano la famiglia.

Mi piacerebbe pensare a dei servizi della città di Roma, quindi non statali/nazionali, per le famiglie. Luoghi fisici e metaforici di incontro che prevedano figure di assistenza e coordinamento alla genitorialità e alla coppia come doula, psicologi, ostetriche, mediatori familiari. Sarebbe bello creare una rete di Roma per le famiglie e i genitori.

Credi abbia senso?

Credo che sarebbe molto, molto sensato.

Quello che descrivi sarebbe preventivo, e probabilmente risolutivo, di molte difficoltà che senza un luogo per venire identificate spesso non ricevono neppure un nome.

Perché non esiste un luogo che convogli il conforto, come giustamente scrivi, ma prima ancora l’idea che questo sia un bisogno legittimo e un diritto.

Se ancora il malefico “hai voluto la bicicletta” non ci molla, la dimensione collettiva del benessere delle famiglie, tutte, delle relazioni, dell’ essere “educati al prossimo” è ancora più una necessità.

Anni fa ho lavorato in un progetto che aveva vinto un finanziamento: “Mai più sola”, per la prevenzione precoce della depressione post partum. Prevedeva un’equipe di psicologhe, ostetriche, doule, psichiatra e consulente babywearing che offriva un pacchetto di incontri a domicilio gratuiti per le puerpere. È stato un bellissimo esempio di come le cose potrebbero funzionare molto bene, ed ha avuto ottimi feedback, purtroppo però non è stato rifinanziato.

Sempre qualche anno fa avevo inaugurato uno spazio settimanale libero e gratuito “dedicato a neogenitori e dintorni”: Mercoledoula, che si teneva nei locali di una libreria per bambini, La Maratonda. Funzionava perché semplicemente una cosa così non c’era. Si sono create amicizie e relazioni nel tempo e veicolate informazioni utili.

Una volta al mese invitavo un* professionista utile all’utenza: una volta per parlare del portare in fascia e marsupio, una volta la pediatra per le esercitazioni con i manichini delle manovre di disostruzione. Poi è arrivata la pandemia e ci siamo fermate.

Ad oggi con grande dispiacere io non riuscirei a sostenerlo ancora. Ma se le città, i quartieri, avessero dei poli con spazi per accogliere ma anche servizi a cura di professionisti che collaborano, da diramare, saremmo a cavallo. Sarebbe finalmente la riuscita della rete.

Finiamo parlando di amore, cosa ami del tuo lavoro?

Amo i nuovi inizi, amo incontrare situazioni in cui in fondo ci mettiamo tutti alla prova.

Sono grata di entrare a condividere un pezzettino della storia di quelle persone e di quelle famiglie, e di far parte di una quantità di prime volte, di sapere di poter fare la mia parte per facilitare l’attraversamento di tante nuove volte.

Amo ripercorrere con le persone il dove eravamo qualche volta prima, stare accanto al consolidarsi del loro sentirsi più competenti, più padrone, più sicure della situazione.

Amo pensare che per ogni persona che avrà una buona esperienza di quel che vive anche grazie al supporto, ci sarà un racconto positivo del valore del supporto. Questo potrà cambiare la narrazione dell’importanza del senso profondo della collettività.

Cosa ami di Roma?

Di Roma amo la luce, immensamente.

Ma anche i rumori, tantissimo. Roma è un mondo, che ti frastorna con dosi massicce di bellezza o di incredibile casino, marmi opulenti e cascate di rifiuti, i tramonti struggenti di giugno e le peggiori colonne di traffico su via Cilicia.

Ha poche vie di mezzo, è ad alta intensità, al limite del troppo, però forse è proprio quel non sapere cosa troverai ma che di sicuro non ti lascerà indifferente, a darti dipendenza.

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